CELATO ALLA MENTE OCCIDENTALE

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Poche cose sembrano scioccare i credenti devoti più dell’apprendere che tanti errori si sono insinuati nel processo di copiatura dei testi del Nuovo Testamento. Ma ciò di cui è ancora più difficile disfarsi è la diffusa convinzione di poter leggere e comprendere il Nuovo Testamento in una buona traduzione con la stessa facilità con cui si comprenderebbe il giornale del mattino.

La Bibbia ovviamente non è un libro, come il nome suggerirebbe, ma di fatto una biblioteca di libri scritti in molti modi diversi, da persone molto diverse, in molte forme letterarie – poesia, storia, allegoria, – in un periodo di oltre mille anni. Da quel millennio naturalmente adesso ci separa una quantità doppia di anni.

Ma un intervallo così lungo non è il problema più grande che abbiamo. Oggi è piuttosto facile leggere e comprendere qualsiasi testo classico greco e romano in una buona traduzione inglese, nonostante alcuni di essi per noi siano più lontani nel tempo degli scritti del Nuovo Testamento. Nell’affrontare qualunque dei nostri problemi noi tuttora respiriamo, pensiamo e sentiamo l’atmosfera del mondo occidentale i cui fondamenti furono gettati nella Grecia e Roma classiche. Dunque per una persona del mondo occidentale oggi quella lacuna temporale di duemila anni è facilmente colmata da una buona traduzione. Ma a dispetto di tutte le familiari narrazioni bibliche e quelle frasi bibliche struggentemente belle che tanto abbiamo care, non è semplicemente possibile fare la stessa cosa con i testi del Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento proviene da una cultura che oggi ci è più aliena di quanto si possa immaginare. La fede biblica cristiana non è affatto una fede occidentale bensì un’antica fede del vicino oriente. Così, aver accesso alla mente degli scrittori biblici in modo da comprendere con una certa profondità che cosa intendano comunicare può essere straordinariamente difficile per una persona del mondo occidentale del ventunesimo secolo.

In occidente abbiamo sempre avuto la tendenza a preoccuparci dei fatti e dell’esattezza storica. È accaduto o no? Sono a conoscenza di tutti i fatti qui? È questa la mentalità con cui ci avviciniamo alla Bibbia. È esistito davvero un Adamo, è esistita un’Eva, o no? Gesù è stato accolto da una serenata di un coro di angeli alla sua nascita, e ha davvero camminato sull’acqua e risuscitato i morti? Troppo spesso non abbiamo nient’altro da chiedere a quei testi. Questo non vuol dire che i fatti storici non siano importanti, ma vuol dire che gli scrittori biblici spesso intendevano comunicare qualcos’altro oltre ai fatti, un qualcosa che oggi tendiamo a perderci completamente per ragioni culturali. Sfortunatamente il “qualcos’altro” è normalmente di importanza molto più grande dei fatti stessi.

La mentalità che scrisse i testi biblici mi ricorda per molti versi alcune opere della letteratura occidentale relativamente moderna, come il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, le storie di C. S. Lewis, o i Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Gulliver non è soltanto una storia su una razza di piccoli uomini e un gigante destinata ad essere letta dai bambini, ma era intesa essere un commento satirico sulla società dell’epoca di Swift a Dublino e a Londra, ed un commento pure molto violento. Esso può essere letto su due livelli. Swift, Tolkien, e Lewis comunicavano in una mentalità molto più vicina a quella biblica che a quella occidentale contemporanea, il che può essere una delle ragioni per cui la popolarità di cui oggi godono giunse a loro così lentamente.

Nel tentare di interpretare le scritture correttamente oggi è necessario che ci prepariamo molto bene per vedere il significato che normalmente sarebbe nascosto alla mente occidentale. L’allegoria, il mistero, l’allusione, e soprattutto il modo in cui la narrativa è strutturata, sono per gli scrittori biblici strumenti di enorme potere, ampiamente alieni al modo in cui la maggior parte di noi pensa e si esprime. Di conseguenza molto di quanto viene comunicato, e molto probabilmente le cose più importanti, passeranno probabilmente del tutto inosservate, mentre quelli che afferriamo saranno probabilmente i temi di minore importanza.

Facciamo un esempio: il Libro della Genesi, capitoli 2 e 3. Purtroppo, sappiamo fin troppo bene che il tipo di interrogativi su cui la mente occidentale probabilmente si concentrerà riguardo a quei capitoli sarà se siano mai realmente esistiti un Adamo ed una Eva, o se Dio abbia creato l’intero universo durante una settimana eccezionalmente indaffarata seimila anni fa.

Tuttavia, se tentiamo di capire il testo con la mentalità di quelli che lo hanno messo per iscritto, ciò che vediamo è invece un meraviglioso equilibrio di struttura in cui uno stato perfetto che sarebbe presumibilmente esistito all’inizio (capitolo 2), contrasta con la condizione, misera al confronto, di cui oggi godiamo (seconda parte del capitolo 3). Infilato tra quelle due sezioni sta un tentativo di spiegare perché la condizione beata sia stata sostituita da quella miserabile, e che cosa dovremmo fare al proposito (capitolo 3, versetti 1-7). In sostanza, quei due capitoli sono un grido di guerra che incita al superamento della polarità di una natura divisa che ci mantiene handicappati in uno stato di impotenza. Se lo facciamo possiamo ascendere, come nostro attuale obbiettivo, a quella condizione originale beata che è rappresentata come già realizzatasi in passato. In breve, per la mente orientale il secondo e il terzo capitolo della Genesi sono in realtà una profezia di un nostro futuro possibile, ambientata nel passato: sicuramente un argomento di importanza molto maggiore che non se ci siano o non ci siano mai davvero stati un Adamo e un’Eva.

Allo stesso modo, se osserviamo il Libro di Giona, è probabile che la mente occidentale veda soltanto quella che abbiamo considerato essere una storia molto improbabile su un uomo la cui vita era un disastro finché non è stato sollevato delle sue pene venendo inghiottito da un pesce. Dopo essere stato salvato dalla sua orribile prova, invece di rimettersi in salute, egli andò a convertire la più grande città del mondo a tempo di record. Questo è tutto ciò che la mente occidentale è portata a vedere nella storia di Giona, e se così è, non c’è da stupirsi che questo racconto venga normalmente considerato con un certo imbarazzo da parte dei Cristiani occidentali.

La mente orientale la vedrebbe diversamente. La chiave per comprendere è il pesce: in molte antiche culture esso era un simbolo della terra e dei suoi poteri. Nel Madagascar, fino a tempi relativamente recenti un capo veniva insediato rimanendo immerso per tre giorni in un gigantesco pesce simbolico eretto nel luogo d’incontro centrale della tribù. Quando il capo usciva dall’iniziazione il suo popolo lo vedeva come se fosse stato trasformato dai magici poteri della Terra. È questo che la mente orientale vedrebbe nella storia di Giona. Ci sono tre sezioni nel libro. Nella prima parte Giona, come potremmo dire oggi con le nostre parole, non è allineato con il suo Dio, e di conseguenza tutto ciò che tocca diventa un disastro. Venendo inghiottito dal pesce giunge alla trasformazione. Ora è allineato e non conosce più limiti, a tal punto che Ninive e il suo re seguono i suoi insegnamenti. È una meditazione sulla vanità di una vita non allineata col proprio Dio, e in contrasto con le possibilità illimitate di chi è allineato: molto più significativo che chiedersi se Giona non avrebbe dovuto essere sottoposto a terapia intensiva  dopo il suo cimento, il che costituirebbe la preoccupazione della mente occidentale.

Esempi del genere abbondano in tutte le scritture e possono radicalmente alterare la nostra comprensione di quei testi. Un esempio particolarmente buono si trova nel primo capitolo del Vangelo di Luca, laddove Maria la madre di Gesù riceve la visita della sua congiunta Elisabetta. Entrambe le donne sono incinte. Elisabetta dice: “Quando ho sentito il tuo saluto il bambino nel mio grembo ha danzato di gioia”. La mente occidentale dice: “Come può un bambino danzare di gioia nel grembo?”.

L’espressione greca ‘danzare di gioia’ è molto rara nel Nuovo Testamento, e corrisponde a un’espressione ancora più rara della lingua ebraica, e per il lettore informato e vigile segnala immediatamente l’episodio descritto nel Libro di Samuele in cui il re David, il precursore di Dio in Israele, danza di gioia davanti all’Arca dell’Alleanza per riconoscere la divinità di colui che è presente in essa.

Nella visione della mente orientale Luca starebbe deliberatamente creando un parallelo con l’episodio descritto nel Libro di Samuele, ma questa volta è il nuovo precursore, Giovanni Battista a danzare nel grembo di sua madre Elisabetta per riconoscere colui che è presente nel grembo di Maria, la nuova Arca dell’Alleanza. In breve, lungi dall’essere semplicemente una storia toccante di due cugine incinte che si incontrano, è una proclamazione della divinità di Cristo.

Non c’è una mentalità altrettanto aliena per la mente degli autori che hanno messo per iscritto le narrazioni bibliche della mente moderna occidentale. Noi siamo istintivamente preoccupati dai fatti e dalla storicità ad esclusione di quasi tutto il resto, di modo che il messaggio trasmesso dalla struttura della forma e dall’allusione ci passa direttamente accanto inosservato.

Il Nuovo Testamento non è così facile da leggere come i giornali del mattino. Se l’avessimo capito meglio avremmo potuto risparmiarci tanti eccessi nel corso dei secoli che tanto danno hanno provocato alla nostra comprensione della persona umana, e al suo potere e destino. Adesso comprendiamo che le più grandi barriere dell’evoluzione sono la paura e il senso di colpa: ironicamente, proprio ciò che viene fornito in linea di massima  da coloro che hanno dato per scontato di essere i responsabili del nostro destino immortale. Celata alla mente occidentale, dietro ai testi delle scritture c’è una visione del mondo ben diversa che avrebbe eliminato quei secoli di sofferenza, paura, stress ed incertezza: stati che furono sfortunatamente venduti come volontà di Dio e come l’unico accesso sicuro al nostro destino immortale da coloro che avrebbero dovuto renderci un servizio migliore.

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