La musica delle cellule

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di Valerio Pignatta


La musica delle cellule


Intervista a Carlo Ventura – Articolo tratto da Scienza e Conoscenza 57

I suoi studi portano alla conclusione che qualsiasi cellula può essere ridifferenziata, ossia indotta, diciamo, a dimenticare la sua precedente condizione, e quindi a essere riprogrammata per la salute e l’efficienza biologica. Questa possibilità apre scenari molto complessi e pieni di speranza. Come è stato possibile?

Utilizzando campi magnetici opportunamente convogliati ci siamo resi conto che era possibile far acquisire a cellule staminali umane adulte (ottenute per esempio da tessuto adiposo) caratteristiche simil-embrionali, cosa che le ha rese in grado di orientarsi verso destini complessi, quali quello cardiaco, neuronale, muscolare, scheletrico. Sempre utilizzando queste energie fisiche siamo addirittura riusciti a orientare verso gli stessi destini cellule somatiche umane adulte non-staminali, quali i fibroblasti della pelle.

Stiamo attualmente cercando di verificare se queste strategie possano essere applicate con successo per ripristinare elevate capacità differenziative in cellule staminali o somatiche umane adulte esposte a condizioni patologiche, ad esempio coltivate in una situazione di ipossia capace di mimare un contesto di danno tissutale.

Tutto questo è stato possibile perché le cellule (incluse le cellule staminali), producono esse stesse campi magnetici e vibrano di continuo con frequenze di oscillazione meccanica che possono cadere sia in un range udibile che subsonico. Queste caratteristiche cellulari sono anche alla base della capacità delle cellule di rispondere a tali stimoli fisici.

Certo bisogna capire a quali profili di onde elettromagnetiche o vibrazioni meccaniche esse siano sensibili, anche in relazione al risultato differenziativo che si vuole ottenere. Questo non è facile e richiede esperimenti spesso complessi e di lunga durata.

La possibilità di induzione della riparazione cellulare ha delle implicazioni enormi nell’ambito dell’oncologia, ma anche in quello cardiologico. Ricordiamo che le malattie cardiovascolari sono ancora la prima causa di morte nel nostro paese e non solo. Lei sta lavorando molto su questo aspetto. Che prospettive ci sono secondo i suoi studi? La trasfusione di cellule staminali nelle parti malate di un cuore infartuato a cosa viene associata e che risultati può dare?

Finora la trasfusione di cellule staminali umane adulte di vario tipo, per lo più fatte moltiplicare (espanse) in vitro in coltura prima del trapianto, che di solito avviene per infusione coronarica, si è dimostrata una procedura sicura e priva di effetti collaterali. Purtroppo, i risultati in termini di efficacia nel trattamento delle forme gravi di insufficienza cardiaca non sono stati per lo più all’altezza delle aspettative, con riprese della contrattilità cardiaca modeste, o addirittura inconsistenti o transitorie nel tempo, a seconda dei vari studi.

Noi crediamo che, in base al potere diffusivo delle energie fisiche che utilizziamo per riprogrammare le cellule staminali (finora in vitro) sia possibile raggiungere le staminali dove queste si trovano, di fatto in ogni tessuto del corpo umano, senza dover necessariamente ricorrere a un trapianto di cellule esogene, ma piuttosto riattivando la capacità delle cellule staminali tessuto-residenti di innescare un percorso di autoguarigione.

Questa possibilità è sicuramente molto attraente per le implicazioni che potrebbe avere nelle malattie del cuore e cardiovascolari in genere, dal momento che anche il cuore, come ogni tessuto, ha le sue cellule staminali residenti. Stiamo lavorando in questo campo, e stiamo attualmente passando dagli studi in vitro a quelli su modelli animali di infarto miocardico, prima di poter procedere agli studi sull’uomo. Questi di per sé non sarebbero problematici date le basse energie in gioco, sia a livello dei campi elettromagnetici sia delle vibrazioni meccaniche utilizzate.

Per quanto riguarda il campo oncologico, stiamo lavorando su cellule staminali tumorali, di fatto ritenute all’origine del processo metastatico tumorale, che spesso segna una tappa di non-ritorno in molti pazienti. La nostra speranza è di poter utilizzare le nostre strategie per riprogrammare anche queste cellule, facendole ri-diventare staminali non-patologiche, ossia capaci di riparare anziché distruggere e invadere i tessuti del corpo umano.

Il trapianto di cellule staminali tra specie diverse comporta delle problematiche?

Di solito il trapianto di organi e tessuti tra specie diverse è associato a forme di rigetto di varia entità. In ambito clinico, il rigetto associato a trapianto allogenico (donatore diverso dal ricevente) di cellule, tessuti e organi richiede l’uso di immunosoppressori a vita.

Una popolazione di cellule staminali, le cellule staminali mesenchimali, presenti in molti organi e tessuti, tra cui il midollo osseo, il grasso, la placenta a termine, la polpa dentaria, la parete del cordone ombelicale, ha mostrato una capacità immunomodulante, o tollerogenica. In pratica queste cellule riescono a farsi percepire dal ricevente come se fossero sue proprie, pur provenendo da un donatore altro.

Questa caratteristica apre prospettive di notevole entità perché se si confermasse l’assenza o la scarsità del rigetto a seguito del trapianto di staminali mesenchimali, ad esempio di derivazione placentare, sarebbe possibile ipotizzare nel futuro una disponibilità di tali cellule per una medicina rigenerativa pensata su vasta scala e non più necessariamente personalizzata come accade oggi a seguito del trapianto autologo delle proprie cellule staminali.

La regressione delle cellule staminali da adulte a embrionali è possibile? Che vantaggi comporta? E che limiti ha?

La regressione (riprogrammazione) di cellule staminali umane adulte o addirittura somatiche a cellule embrionali è sicuramente una tappa epocale nella storia della biologia (questa scoperta è valsa il Nobel in medicina a Shinya Yamanaka e John B. Gurdon nel 2012).

Questo processo consente di ottenere le proprie cellule staminali simil-embrionali partendo da cellule somatiche o da staminali adulte. Uno scenario futuro, ancora da verificare, è quindi che ognuno potrebbe disporre delle proprie cellule embrionali o simil-embrionali in età adulta e senza problemi etici dal momento che non si parte da un embrione umano.

Finora la riprogrammazione cellulare è stata realizzata essenzialmente mediante trasferimento di alcuni geni per mezzo di vettori virali. Questo metodo non è privo di rischi, dal momento che tali vettori possono essere pericolosi, e la popolazione riprogrammata è piuttosto instabile, con possibilità di deriva tumorale. Al momento la riprogrammazione cellulare viene utilizzata come metodica per lo studio dei segnali molecolari che guidano le dinamiche delle cellule staminali embrionali, per ottenere staminali paziente-specifiche consentendo lo studio di processi patologici e di farmaci che potrebbero curare patologie in modo personalizzato.

Come dicevo, siamo riusciti a riprogrammare cellule staminali umane adulte o somatiche non-staminali mediante campi elettromagnetici opportunamente convogliati, senza dover ricorrere al trasferimento genico mediante vettori virali. Si tratta di una riprogrammazione diretta, in quanto, per effetto dello stimolo fisico, queste cellule sono passate solo transitoriamente attraverso una fase embrionale, per poi differenziarsi spontaneamente verso fenotipi maturi dell’adulto.

Questo risultato apre prospettive concrete di applicazione clinica, ma si tratta di uno scenario futuro, perché anche nel nostro caso bisognerà verificare la capacità delle cellule così ottenute di riparare tessuti danneggiati in modelli animali in vivo, e si dovrà escludere qualsiasi rischio di trasformazione tumorale, anche se non sono stati utilizzati vettori virali.

Nell’insieme di tutti questi processi di intervento sulle cellule, è meglio parlare di rigenerazione o di riparazione?

Sono forse due termini che si “rincorrono a vicenda”. Certo oggi non siamo in grado di ricostruire un organo con le cellule staminali. Inoltre la maggior parte degli effetti terapeutici di tali cellule risiede nella loro capacità di rilasciare in situ dopo il trapianto una serie di fattori trofici capaci di spingere il tessuto ricevente verso un percorso di autoguarigione. Questo effetto, definito “azione paracarina”, mi farebbe parlare di riparazione piuttosto che di rigenerazione, che vedrei più come processo in cui le staminali trapiantate siano capaci di differenziarsi verso i tipi cellulari persi nel tessuto danneggiato.

D’altra parte come non parlare di rigenerazione di fronte al fatto che si assiste a un processo endogeno, di autoguarigione indotto dalle staminali trapiantate?

 

Fonte: https://www.macrolibrarsi.it/speciali/la-musica-delle-cellule.php

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